Non ci sono riuscito. Stavolta sono
stato costretto a ritirarmi.
Eppure andava tutto bene, anzi meglio
di come mi aspettavo.
Una volta ho detto che gli
ultramaratoneti sono come astronauti. Adesso me li immagino su un
filo da trapezista, in equilibri precario tra le mille variabili che
intercorrono tra l'attesa della partenza e la meta finale. Basta un
soffio di vento e si cade giù. Basta un po' di freddo e ci si ritira
quando ormai il grosso era alle spalle.
Sono deluso, perchè stavo e sto bene:
perchè per la prima volta il giorno successivo ad una corsa di 90 km
non ho dolori muscolari. Sono arrabbiato perchè per la prima volta
potevo arrivare primo, anche se il valore della vittoria sarebbe
stato relativo. Sono desolato perchè ho lasciato la mia compagna di
team a correre 40 km da sola nei boschi.
Rifarei tutto. Da capo a piedi. Ho
visto luoghi suggestivi. incontrato bella gente (gli organizzatori
ed i volontari sono stati fantastici), e a parte un primo momento di
sconforto non ho perso la voglia di correre. Magari da solo. Magari
in montagna. Riprendo domani. Con mio figlio Federico di 5 anni. Oggi
mi ha chiesto: “Papà quando mi porti a correre nei boschi con
te?”. Come si fa a dirgli di no.